Come stampare i colori correttamente
Quante volte ci sarà capitato, dopo aver provato a stampare una foto, di non essere soddisfatti del risultato?
Tutti hanno più o meno rilevato la differenza di intensità dei colori visti a video rispetto a quelli stampati su carta. Ma quindi, come stampare i colori correttamente?
Quando inizi un nuovo progetto grafico destinato alla stampa, molto probabilmente avrai letto di settare il file grafico in formato CMYK e non in RGB. Nonostante il formato RGB sia comunque valido (anzi come vedremo avanti ha una palette dei colori più ampia), se un file deve andare in stampa conviene usare il formato CMYK. Vediamo insieme il perché.
Con il nostro software di grafica preferito, abbiamo la possibilità di impostare il metodo di gestione dei colori del nostro progetto secondo diverse modalità. Le due più utilizzate sono sicuramente il formato RGB e CMYK ma non sono le sole.
E’ possibile ad esempio usare Scala di grigio, Scala di Colore, Colore Lab (solo per citare Photoshop)
Cosa significa impostare il metodo per la gestione dei colori?
Per capire questo concetto bisogna fare un passo indietro e osservare cosa succede in natura. Come fu dimostrato da Newton il fascio di luce contiene al suo interno tutti i colori primari. Per provare questa affermazione basta perdere un cerchio di carta, dividerlo a spicchi e colorare ogni spicchio con un colore primario (ruota di Newton appunto). Facendo ruotare velocemente il foglio ci accorgeremo che i colori si mischiano tra di loro e vedremo unicamente il colore bianco.
Per definizione quindi, i colori primari sono quei colori che miscelati tra loro (con l’aggiunta del bianco e del nero) consentono la formazione di tutti gli altri colori. I colori primari inoltre non possono essere ottenuti da nessun altro colore.
Quello che noi percepiamo come colore è in realtà la quantità di luce che un corpo riflette.
Un corpo non trasparente, assorbe gran parte della luce che lo illumina e ne riflette una parte più o meno piccola. Quando il corpo assorbe tutti i colori della luce bianca, l’oggetto appare nero.
Quando riflette tutti i colori dello spettro, l’oggetto appare bianco. I colori assorbiti scompaiono all’interno dell’oggetto, quelli riflessi raggiungono l’occhio umano. I colori che vediamo, sono quindi quelli che non son assorbiti, ma propagati, dagli oggetti stessi.
Quali sono i colori primari?
Verrebbe da rispondere tre senza ombra di dubbio; Rosso, Verde e Blu. Ma anche Ciano, Magenta e Giallo sono primari e quindi? I colori primari sono sei?
No, sono sempre tre, la differenza sta nel metodo utilizzato per la creazione degli altri colori. Ma per capire la cosa bisogna introdurre il concetto di colori primari additivi e colori primari sottrattivi.
Colori primari additivi
Partiamo da un concetto fondamentale: tutti i dispositivi che lavorano imitando il lavoro dell’occhio umano, e quindi fotocamere digitali, schermi e telecamere, utilizzano la sintesi additiva.
Come suggerisce il termine “additiva”, si tratta in fondo di una somma. Tutto poggia, infatti, sul fatto che tutti i colori insieme, sommati, formano il bianco come abbiamo visto precedentemente con il disco di Newton.
E quali sono, quindi, i colori primari additivi?
Semplice, sono i colori ai quali sono sensibili i nostri occhi. Il rosso, il verde e il blu sono colori primari additivi.
I coni dei nostri occhi, più nello specifico, sono sensibili al colore verde, al colore rosso e lievemente sensibili al colore blu. Quando vediamo un colore giallo, quindi, vengono sollecitati contemporaneamente sia i coni rossi che quelli verdi, quando vediamo il ciano sono eccitati i coni blu e verde, e via dicendo. Quando si parla dei colori primari additivi, non a caso, si usa spesso l’acronimo RGB, ovvero red, green e blue.
Ma quindi se siamo riusciti a riprodurre il sistema di sintesi visiva dei nostri occhi perché mai utilizzare un metodo diverso per la stampa?
Colori primari sottrattivi
Perché i colori su carta, i colori stampati o disegnati con matite o pennelli, sono in realtà il risultato di un processo di sintesi sottrattiva.
I colori primari sottrattivi sono il giallo, il magenta e il ciano. I quali sono anche i colori complementari di blu, verde e rosso, e quindi dei tre colori primari additivi!
Ma come si fa a capire il funzionamento della sintesi sottrattiva?
Ipotizziamo di avere un vetrino giallo e un vetrino magenta. Ipotizziamo di sovrapporre il vetrino magenta a quello giallo: il colore risultante – in questo caso rosso – sarà il risultato non di una somma, quanto invece di una sottrazione, con il vetrino superiore che sottrae una parte della luce dal vetrino inferiore. Per questo non si parla più di un’addizione, e quindi di sintesi additiva, quanto invece di una sintesi sottrattiva.
Quello che noi chiamiamo colore, è quindi il risultato dello spettro di luce che viene riflesso dalla materia che noi stessi abbiamo scelto e depositato sulla superficie.
Come fanno i software a riprodurre i colori?
Quello che fanno i monitor e le stampanti altro non è che la riproduzione di quanto accade in natura. Il software visualizza la giusta tonalità miscelando i colori “fondamentali”.
I colori fondamentali sono quelli che danno il nome al metodo di gestione del colore
- Rosso, Verde e Blu per il metodo RGB (dall’inglese Red, Green, Blu)
- Ciano, Magenta, Giallo e Nero per il metodo CMYK
La Stampa RGB come abbiamo visto è un metodo additivo, ovvero la luminosità del colore risultante dall’unione dei tre di base è pari alla somma della luminosità di ogni colore di partenza. Considerato che per ogni colore riusciamo ad ottenere 256 tonalità di colore, il numero di combinazioni di colore ottenibile con il metodo RGB è 256^3 ovvero 16.7 milioni di colori circa.
La Stampa CMYK essendo diversamente metodo sottrattivo, la luminosità del colore generato è più bassa della luminosità dei colori di partenza. Questo perché il metodo CMYK normalmente viene utilizzato per gestire la miscelazione di colori materici e non digitali. Pensiamo ad esempio alle matite o alle vernici. Le quantità di colore utilizzate si misurano il percentuale.
Questa cosa fa si che il metodo CMYK abbia una palette di colori generabili molto più piccola rispetto al metodo RGB ed è il motivo per il quale, se un progetto grafico andrà stampato si consiglia sempre l’uso del metodo CMYK altrimenti si corre il rischio che il colore presente nel file non possa essere riprodotto.
Dal momento che si tratta di un metodo che si fonda sull’utilizzo di quattro colori in italiano lo trovi spesso indicato anche come “quadricromia”.
Il Key Black
Il nero è un colore che è stato aggiunto per ottenere colori molto saturi e un nero più brillante.
Per ottenere un nero … semplicemente nero, la regolazione che viene spontaneo impostare è questa: C=0, M=0, Y=0, K= 100. Questo è il nero “standard”, che stampato risulta spento. Va benissimo ad esempio per il testo. Se invece c’è una stesura uniforme del colore che serve di sfondo all’immagine piena di nero, ti consiglio di utilizzare il cosiddetto “Rich Black”, che si ottiene impostando queste percentuali: C=40, M=40, Y=40, K=100. Significa che al key black vado ad aggiungere percentuali omogenee di tutti gli altri canali colore per rendere più pieno il nero che otterrò in stampa.
E se con il metodo CMYK non riuscissi ad ottenere quanto chiedi? Ci sono ovviamente delle alternative. Anche se la quadricromia risulta il metodo preferito dalle tipografie perché si riesce ad ottenere un gran numero di colori con la minor quantità di inchiostro è possibile trovare tipografie con macchinari che hanno un offset in grado di gestire 7 colori. CMYK+3 (arancio, verde, viola). In questo modo la gamma di colori a disposizione si amplia enormemente.
Dopo tutte queste informazioni e soprattutto dopo aver notato che le cartucce della nostra stampante che sia essa Epson o Canon sono di colore Ciano, Magenta, Giallo e Nero, non ci sono più dubbi che il metodo da utilizzare sia il CMYK
I colori sono ancora diversi?
Nonostante tu abbia impostato correttamente il metodo grafico, la stampa su carta potrebbe risultare ancora diversa da quanto visualizzi a video. Vi sono varie spiegazioni per questo e una è il tipo di carta utilizzato. Ciascuna tipologia di carta reagisce in maniera diversa alla stampa, e ciò dipende dalla composizione e dall’umidità. Un altro fattore importante è la stampante: chiaramente il risultato che potrai ottenere con la tua stampante casalinga rispetto alla stampante professionale di una tipografia sarà diverso. Le stampanti commerciali delle grandi tipografie stampano in maniera diversa da quelle più piccole e basiche. E ancora non dimentichiamo la configurazione dello schermo. Ad esempio, una immagine potrà essere diversa se la si guarda da diversi schermi con diversa configurazione di luminosità e colori.
In conclusione, avrai capito che la gestione dei colori non è una cosa semplice e a seconda del supporto, metodo, luminosità e configurazioni potremmo vedere dei risultati totalmente differenti tra di loro. A meno di non avere una stampante professionale il consiglio che mi sento di dare è di fare delle prove avendo cura di cambiare una sola variabile alla volta. Così facendo riusciremo a trovare la carta che fa per noi, la configurazione del monitor più realistica e il risultato che finalmente soddisfa le nostre aspettative.
Ma se volessi la certezza assoluta su un colore?
Alla fine di questo articolo vorrei lasciarti una certezza più che una serie di dubbi. Come faccio ad essere sicuro che il colore del mio progetto digitale sia lo stesso che otterrò nella stampa della tipografia? L’unico modo è utilizzare il metodo Pantone.
Ma ne parleremo in un altro articolo.